Manifestazioni dell’infezione da SARS-CoV-2


I sintomi più comuni di un’infezione delle alte vie respiratorie da parte dei coronavirus nell’uomo comprendono: febbre, tosse, cefalea, faringodinia, difficoltà respiratorie, malessere generale per un breve periodo di tempo.
Nei casi più gravi, l’infezione può causare polmonite o broncopolmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale, fino alla morte.
L’interessamento delle basse vie respiratorie e le complicanze sono più frequenti nelle persone con preesistenti patologie croniche dell’apparato cardiovascolare e respiratorio e nelle persone con compromissione del sistema immunitario, nei neonati e negli anziani.

I primi dati sulle manifestazioni cliniche della sindrome respiratoria riconducibile al SARS-CoV-2 si riferivano a pazienti, talora appartenenti a gruppi familiari, giunti all’osservazione delle strutture sanitarie cinesi.
Il primo studio su una quarantina di casi ricoverati in ospedale a Wuhan ha indicato che i pazienti erano adulti ( età media 49 anni ), per la maggior parte maschi ( 73% ).
La malattia colpiva per due terzi soggetti sani e per un terzo ( 32% ) pazienti con condizioni mediche croniche sottostanti come il diabete mellito ( 20% ), l’ipertensione arteriosa ( 15% ) e le malattie cardiovascolari ( 15% ).
Un secondo studio ha riguardato un nucleo familiare di 7 persone ricoverate per polmonite di natura da determinare.
Studi retrospettivi su pazienti ricoverati in ospedale ( che rappresentano verosimilmente il sottogruppo più grave ) hanno confermato un’età media dei contagiati nella fascia adulta, con una media variabile dai 35 ai 60 anni, la prevalenza di pazienti di sesso maschile e il fatto che i pazienti che necessitano di ricovero in terapia intensiva hanno malattie croniche o età avanzata.

Il quadro conclamato dell’infezione da SARS-CoV-2 è quello della polmonite virale acuta. I sintomi d’esordio sono piuttosto aspecifici e affini a quelli di altre forme respiratorie acute rispetto alle quali può essere difficile una diagnosi differenziale sulla base dell’obiettività clinica e dell’anamnesi patologica del paziente.
Solo con l’evolversi della malattia si palesano caratteristiche peculiari nel decorso ( maggiore durata dei sintomi e più probabile necessità di ospedalizzazione ) e nei risultati della diagnostica di laboratorio e per immagini.

La sintomatologia si presenta nel 90% dei casi in forma sindromica: iperpiressia ( superiore al 90% dei casi ) anche elevata, sopra i 39°C; tosse in genere secca ( 45-80% dei casi ), più raramente produttiva ( 28% dei casi ); malessere ( 44-80% dei casi ); dispnea ( 20-50% dei casi ) entro una mediana di 8 giorni; faringodinia ( 5% dei casi ); cefalea ( 3-20% dei casi ); mialgie ( 11-36% dei casi ).

All'inizio si riteneva che nell’infezione da SARS-CoV-2, a differenza di quanto osservato per altri coronavirus umani, fossero rari i sintomi gastrointestinali come la diarrea ( 2-3% dei casi ), la nausea e il vomito ( 1-4% dei casi ), mentre con il tempo è emersa una sottodiagnosi di questi disturbi.
Uno studio multicentrico statunitense ha riportato che il 61.3% dei pazienti ha riferito almeno un sintomo gastrointestinale, in genere anoressia ( 34.8% ), diarrea ( 33.7% ) o nausea ( 26.4% ).
Inoltre i sintomi gastrointestinali dominavano il quadro clinico nel 20.3% dei casi ed erano i sintomi di esordio nel 14.2% dei casi.

Due sintomi frequenti, a volte unica manifestazione dell’infezione, sono anosmia e ageusia, che vanno dunque sempre indagate di fronte a un paziente con sospetto clinico.
In uno studio multicentrico europeo, che ha analizzato 417 pazienti con COVID-19 in forma lieve o moderata, l’85.6% aveva disturbi olfattivi e l’88.0% disturbi gustativi.
Nell’11.8% dei casi i disturbi olfattivi erano il primo sintomo della malattia.
Un’indagine multicentrica italiana ha rilevato che nei pazienti con malattia lieve anosmia e ageusia / disgeusia sono frequenti ( 60% all’insorgenza, un altro 6% nei giorni successivi ), ma in genere si risolvono spontaneamente entro il primo mese.
I disturbi dell’olfatto e del gusto rappresentano un elemento distintivo utile per la diagnosi differenziale rispetto ad altre malattie respiratorie acute, come l’influenza stagionale.

Fin dalle prime descrizioni del quadro clinico è emerso l’interessamento precoce dell’apparato visivo, con la congiuntivite come sintomo d’esordio.
Altri sintomi oculari sono congestione e dolore delle congiuntive, fotofobia, occhio secco e lacrimazione.
Una metanalisi condotta da ricercatori italiani ha concluso che la presenza di congiuntivite è indice di una condizione più grave.

Con il progredire delle conoscenze sul quadro clinico diventa sempre più evidente un interessamento dell’apparato cardiovascolare con danno miocardico ( sofferenza ischemica, miocardite, infarto del miocardio ) che si associa a una prognosi peggiore.

E’ inoltre descritta la possibilità di una compromissione neurologica con un ampio spettro di presentazioni cliniche ( agitazione, cefalea, stato confusionale, convulsioni, accidenti cerebrovascolari, encefalite, sofferenza piramidale con coinvolgimento del tratto cortico-spinale ).
La stessa anosmia può essere considerata una manifestazione neurologica, in quanto viene ricondotta al neurotropismo del virus.
La risonanza magnetica può mostrare un’encefalopatia su base ischemica.
Quando effettuata, la ricerca del virus nel liquor è stata negativa o ha mostrato una carica virale molto bassa, che non consente di escludere fenomeni di contaminazione piuttosto che un vero e proprio passaggio nel liquor.

A seguito dell’accumularsi di segnalazioni aneddotiche di manifestazioni dermatologiche ( rash, orticaria, vescicole ) si è giunti a descrivere un quadro abbastanza peculiare di COVID-19, caratterizzato da un esantema papulovescicolare che interessa generalmente il tronco, in assenza o con minima presenza di prurito, che insorge a distanza di 2-12 giorni ( mediana 3 giorni ) dai sintomi dominanti e persiste per 4-15 giorni ( mediana 8 giorni ).
Tardivamente può comparire una acrocianosi, accompagnata da fenomeni necrotici.

Tra le complicanze gravi, la sindrome da distress respiratorio acuto ( ARDS ) ( 15-30% ) si manifesta dopo 9 giorni ( valore mediano ), seguita dall’immediato ricovero in terapia intensiva per il supporto ventilatorio.
Due studi pubblicati contemporaneamente su Lancet Respiratory Medicine hanno esaminato le caratteristiche della sindrome ARDS associata a COVID-19.
Il primo studio, condotto con disegno prospettico in diversi ospedali italiani ha esaminato la funzionalità respiratoria, il quadro radiologico ( TC [ tomografia computerizzata ] e angio-TC ) e i livelli di D-dimero in 301 pazienti con sindrome ARDS associata a COVID, e ha effettuato un confronto con due gruppi di controllo di pazienti con sindrome ARDS tradizionale.
La sindrome ARDS COVID-correlata condivide alcuni elementi con la forma classica, ma si distingue per un aumento dello spazio morto, riconducibile ai diffusi fenomeni tromboembolici. In presenza di danno polmonare alla TC e di livelli elevati di D-dimero, la prognosi è peggiore.
Il secondo studio, condotto con disegno prospettico su pazienti COVID-19 con sindrome ARDS ricoverati in due ospedali britannici, aveva l’obiettivo di definire con precisione l’assetto infiammatorio valutando un ampio pannello di marcatori. E’ emerso che dei 39 pazienti COVID solo 8 avevano una forma iperinfiammatoria, gli altri 31 una forma ipoinfiammatoria ( mortalità 63% versus 39%, differenza non statisticamente significativa ).
Altre complicanze includono: coma, compromissione neurologica, ipotensione, shock, insufficienza renale, ischemia del miocardio, danno epatico, fenomeni trombotici, ischemia mesenterica.
La predisposizione a fenomeni trombotici e a complicanze vascolari sarebbe sostenuta da un danno endoteliale che determina l’attivazione piastrinica e disturbi della coagulazione che si associano a un decorso clinicamente sfavorevole e a un aumento del rischio di morte.

Le complicanze e la prognosi peggiore, con aumento del rischio di morte, si verificano con maggior frequenza nei pazienti con comorbilità, in particolare con malattie cardiovascolari, ipertensione arteriosa, broncopneumopatia cronica ostruttiva ( BPCO ), malattie oncologiche e diabete mellito.
Grazie alla piattaforma OpenSAFELY che gestisce le cartelle cliniche elettroniche di 17.4 milioni di assistiti dal Servizio sanitario nazionale britannico, sono stati definiti i fattori di rischio di morte durante un ricovero per COVID-19. Il rischio di morte è risultato associato con l’età avanzata e alcune comorbilità ( diabete, obesità, cancro, malattie respiratorie, cuore, reni, fegato, condizioni neurologiche e autoimmuni ) così come con una condizione socio-economica svantaggiata, il genere maschile, l’etnia non-bianca. Anche l’asma è stata identificata come fattore di rischio, contrariamente a quanto ritenuto in precedenza. ( Xagena_2020 )

Fonte: Ordine dei Medici di Gorizia, 2020

Xagena_Medicina_2020